Al confine

Definiamo “confine”, quell’argine identitario che è tanto fisico, quanto psichico e relazionale.

Noi siamo “fatti” di frontiere e limiti, che delimitano il nostro corpo (la pelle) e la nostra mente-pensiero e, così, definiscono chi siamo da chi non siamo.

Biologicamente, nasciamo da uno stato di simbiosi, prima reale poi simbolico, dalla “mamma” e, gradualmente, giungiamo alla costruzione di confini mentali che permetteranno al bambino, prima, e all’adulto, poi, di definirsi separato dagli altri. Ovvero, di distinguere le proprie emozioni, pensieri, desideri, bisogni, intenzioni da quelle altrui.

Il confine identitario, diventa allora, spazio che protegge e da senso ma anche possibilità di con-tatto e libertà di con-fronto. Confini interpersonali sani creano la relazione, laddove l’assenza di confini crea confusione, la sensazione di sentirsi invasi, e confini troppo rigidi possono creare muri che aumentano l’isolamento, il sospetto e la paura dell’altro.

Oggi, viviamo una crisi dei confini che ha conseguenze a livello sociale e psicologico: scuola, istituzioni, famiglia, disagio mentale individuale o di gruppi/generazioni; forse, tutti questi aspetti legati insieme, ad un qualche livello.

Immersi in luoghi abitati dall’incertezza, da punti di riferimento dubbi, sia interni che esterni al sé, da caos e smarrimento di senso, sembra non trovare più limite il naturale senso di onnipotenza infantile, quando è ammesso sentire di avere potere e controllo sull’ambiente circostante e sui propri bisogni. Non si è più preparati a so-stare nel confine e ad entrare in contatto con il confine delle nostre emozioni e con il confine dell’altro.

L’identità si gioca ora sulla performance, sulla disregolazione emotiva...e sulla violenza del narcisista, l’angoscia del depresso che non sta al passo con le richieste esterne, la compulsione del dipendente patologico...

É vera libertà essere senza confini?

Dottoressa,

sono confuso. Cioè, a volte mi sento determinato, prendo delle decisioni con convinzione, so esattamente cosa voglio raggiungere e mi impegno pure; anzi, se ho un obiettivo in testa sono disposto anche al sacrificio, credo di aver fatto sempre così. Però, altre volte, quando mi fermo a pensare, e purtroppo sempre troppo tardi, mi rendo conto che confondo i miei bisogni con quelli dell’altra persona. Come se si fondessero insieme e finisco per non ascoltare ciò che davvero desidero io per me stesso”.

Le dipendenze patologiche, quelle sì che tolgono ogni forma di libertà...

La funzione del confine identitario non è solo quella di definire e proteggere chi siamo ma è anche la condizione necessaria per costruire delle sane relazioni con gli altri.

In una relazione di dipendenza patologica, sia che si tratti di dipendenze da sostanze (alcol, droghe, ecc), comportamento (gioco d’azzardo patologico, dipendenza da internet, sesso, ad es.) o dipendenza affettiva, i confini personali possono essere con-fusi, assenti o deboli.

Non c’è autonomia, né un’identità definita. Non c’è frontiera che consenta un transito arricchente tra geografie in-dipendenti.

Allora, in queste situazioni, la persona ha sempre bisogno di una presenza rassicurante e protettiva e si ostina a combattere la frustrazione dell’abbandono e l’angoscia della separazione da qualcuno/qualcosa.

Questo fa sì che si crei una fusione con l’oggetto della dipendenza, che diventa la soluzione contro paure, insicurezze, emozioni difficili da riconoscere e gestire.

Dottoressa,

io e la mia bottiglia siamo diventati una cosa sola, senza di lei io non ce la faccio”.

L’oggetto della dipendenza non è più un oggetto/esperienza/comportamento con il quale la persona può relazionarsi per trarne sano piacere ma diventata quel “qualcosa” del quale non può fare a meno, perché necessario a soddisfare il proprio bisogno di protezione e sicurezza.

In questo modo, la persona dipendente attribuirà implicitamente alla sigaretta, alcol, shopping, social, compagno/a-marito/moglie ecc un ruolo salvifico, protettivo e identitario del quale non si può fare a meno.

Di certo, questo non significa trascurare la componente del “piacere fisico” che la persona dipendente attribuisce all’oggetto della dipendenza a causa dei fattori neurochimici che si innescano o non pensare ai genetici che possono influenzare l’esordio.

È necessario, a mio avviso, rimarcare sempre la complessità e l’integrazione di fattori psicologici-fisiologici e comportamentali che si nascondono dietro ad una dipendenza patologica.

É fondamentale, a mio avviso, poter aiutare le persone a riparare confini disfunzionali o a costruirne di nuovi più flessibili, affinché identità più consapevoli e capaci di una maggiore autoregolazione emotiva possano godere di scambi relazionali reciprocamente nutrienti. Tutti noi abbiamo bisogno di incontrare l’altro in uno spazio di confine né troppo distante né troppo invadente, ma per permettere qualsiasi forma di connessione ed incontro, bisogna prima riconoscersi come persona unica.

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